L’antefatto sono le regole del fair play finanziario volute dalla Uefa, introdotte nel 2011 per dissuadere i club dalla spesa eccessiva. Tutto nasceva dal fatto che il divario tra le squadre in campo fosse sempre più legato a una questione finanziaria piuttosto che sportiva, e anche all’eccessivo indebitamento a cui molti club ricorrevano per aggiudicarsi i giocatori più famosi e costosi, determinando infine anche rovinosi fallimenti.
Così la Uefa da vita a un piano di “fair play finanziario” che si prefigga diversi obiettivi:
- Dare al sistema finanziario delle società un ordine e una razionalità
- Stimolare l’auto-sostenibilità delle società, soprattutto a lungo termine
- Stimolare la crescita delle infrastrutture
- Stimolare la crescita dei settori giovanili
- Incoraggiare la società a competere soltanto entro i propri introiti
- Accertarsi che le società onorino gli impegni finanziari nei tempi prestabiliti
- Diminuire le pressioni sulle richieste salariali e sui trasferimenti
- Limitare gli effetti dell’inflazione nel mondo calcistico
Un progetto complessivo a cui non poter dare torto o guardare con sospetto se il calcio professionistico fosse davvero uno sport.
Il monitoraggio delle società viene effettuato dalla stessa Uefa, affinché il fair play finanziario dia i suoi frutti e cioè nessuna presenza di debiti arretrati verso altre società, dipendenti e/o autorità, fornitura di informazioni finanziarie che riguardano il futuro, obbligo di pareggio del bilancio. La pena per le società che non avessero raggiunto questi obiettivi nei tempi stabiliti è il non poter partecipare alle competizioni UEFA. Cosa che è appunto accaduta al Manchester City.
Per la squadra inglese i guai sono cominciati quando sono diventati di dominio pubblico e-mail e documenti contabili che sembrano dimostrare come il proprietario della squadra, lo sceicco Mansour, della famiglia al potere di Abu Dhabi, finanziasse principalmente l’enorme sponsorizzazione annuale di 67,5 milioni di sterline della maglia, dello stadio e dell’accademia del club con la pubblicità della compagnia aerea di Abu Dhabi, l’ Etihad.
In pratica, la Uefa si sente presa in giro. Contro di lei è stato creato una sorta di gioco di prestigio, dove finanziatore e finanziato sono detenute dalla stessa proprietà e quindi per il club non ci sarebbe un regolare giro d’affari né un effettivo guadagno da reinvestire. Una posizione corretta eticamente parlando, senza dubbio, ma pur appartenendo alla stessa proprietà almeno in parte, l’Etihad e Manchester City sono due entità giuridiche ben distinte, quindi una sponsorizzazione di una nell’altra potrebbe essere moralmente criticabile dalle squadre avversarie, ma non giuridicamente sanzionabile. Non a caso, la dirigenza del Manchester City ha già fatto sapere che ricorrerà contro la decisione della UEFA ricorrendo anche alla giustizia ordinaria.